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Anche questa è Resistenza

In occasione del 25 aprile la Presidente dell’ADEI WIZO di Napoli, Miriam Rebhun, ci ha inviato una bella testimonianza relativa all’opera della Brigata Ebraica in Campania, scritta nel 1968 da Isabella Lattes Coifmann, allora Presidente della sezione napoletana, in occasione del quarantesimo anno dalla fondazione della sezione. Si tratta di un discorso che mette in evidenza il ruolo di questa formazione non solo nella lotta al nazifascismo, ma soprattutto nell’aiutare gli ebrei delle città liberate nella difficile opera di ricostruzione di una identità dispersa dalla violenza. “Il servizio civile svolto dai soldati della Brigata a favore delle Comunità Ebraiche ha aiutato gli italiani di religione ebraica, emarginati e perseguitati a causa delle leggi razziali, a ritornare ad essere cittadini” scrive Miriam Rebhun accompagnando la lettera. Un impegno che, a buon diritto, inserisce la Brigata Ebraica nell’opera e nei valori della Resistenza, al di là di ogni possibile polemica.



“La mia Presidenza è cominciata nel 1944. Voi sapete cosa ci fu in quegli anni di intervallo. Ma non voglio parlarvi della tragedia che conosciamo fin troppo bene tutti, per averla vissuta momento per momento. Voglio parlarvi del poi, di quello che successe nella nostra piccola Comunità a guerra finita, quando Napoli fu liberata, mentre il fronte si spostava lentissimamente verso il nord.

La nostra grande fortuna di quell’epoca si chiama Brigata Ebraica. Forse senza la sua presenza catalizzatrice l’ADEI di Napoli non sarebbe rinata a nuova vita prima delle altre. Ma, tra le truppe alleate che liberarono la città, c’erano proprio i ragazzi di Palestina in uniforme britannica con la stella di Davide. Parlavano una babele di lingue diverse, ma il denominatore comune dell’ebraico o dell’yiddish, che qualcuno di noi conosceva e la loro straordinaria facilità ad esprimersi presto in italiano, fecero cadere ben presto la barriera linguistica e ci trovammo accanto all’improvviso degli amici veri, ansiosi di aiutarci a superare le gravi difficoltà di ogni genere in un immediato dopoguerra particolarmente duro e penoso. Il loro club, il Jewish Soldier’s Club di via Tarsia diventò il nostro Club, anche se ufficialmente i civili non vi sarebbero potuti entrare, lì assaggiammo i primi pasticcini di farina bianca di cui avevamo dimenticato il sapore, lì incontrammo le ATS palestinesi, le donne in uniforme che prestavano servizio nell’AuxiliaryTerritory Service, lì ritrovammo l’antica spensieratezza. Intanto nella caserma dell’Unità palestinese in via Montedidio venivano organizzate le feste ebraiche che riunivano i membri sparsi della nostra Comunità, venivano accolti e assistiti i profughi e si lavorava per aiutare le famiglie disperse a riunirsi.

In questa atmosfera di gioiosa rinascita fu naturale far risorgere l’Adei, si trattava di ristabilire i contatti tra le donne ebree, di riannodare i fili che un seguito di dolorose vicende avevano spezzato e, soprattutto, di allargare il campo di attività di una associazione nata semplicemente allo scopo di assistere gli indigenti locali e che invece aveva ora compiti assai più vasti da affrontare. La parola rovente di Iris Levy, presidente della Wizo del Cairo, venuta tra noi in missione speciale per propagandare l’idea di un aiuto concreto ai profughi diretti in Palestina, trovò immediata eco in ognuna di noi, sicché fin dal settembre 1944 l’Adei di Napoli cominciò a lavorare in contatto quotidiano con i soldati palestinesi di stanza a Napoli raccogliendo indumenti e viveri per i profughi che in gran numero transitavano per la città. Mesi di fervido e appassionato lavoro, di intensa ed entusiasta attività passarono rapidamente, finché giunse purtroppo il triste momento del commiato. Le truppe palestinesi che ci erano state vicine fraternamente nel periodo più critico della nostra rinascita, lasciarono la città, noi ci trovammo d’improvviso sole e ci accorgemmo di quanto peso avessero avuto per noi la loro presenza ed il loro appoggio. Ma il seme era stato gettato, l’Adei napoletana con nuovo vigore aveva imparato a fare da sé, presto ristabiliva i contatti prima con Roma, poi con le altre sezioni di Italia…”


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