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Perché a Chanuccà non serve vestirsi da armadilli

Dal Desk della Presidente

A Chanuccà capita, ogni tanto, di incontrare un amico che ci mostra un esempio di come questa festa stia diventando sempre più apprezzata in tutto il mondo. Quest’anno c’è chi ha portato alla mia attenzione una puntata molto famosa della serie F.R.I.E.N.D.S. Per chi non la conosce, è quella dove uno dei protagonisti, Ross, che è ebreo, cerca di spiegare a suo figlio Ben il significato di Chanuccà. Ben però vuole che Babbo Natale gli porti i doni e Ross, non trovando più un costume adatto, finisce per consegnargli i regali nei panni di un improbabile “Armadillo delle Feste”.

La scena ha finito per portami alla memoria tutti i festeggiamenti di Chanuccà che ho vissuto da bambina. Anche per me c’era ogni anno l’inevitabile confronto con il Natale. Ho sempre vissuto a Milano e non certo dentro una campana di vetro: vedevo i negozi riempirsi di addobbi e le pubblicità con la musica di Jingle Bells farsi sempre più insistenti. Nelle case dei miei amici c’era l’albero addobbato e le luminarie ai balconi e poi c’era la domanda che mi aspettava a gennaio: cosa ti ha portato Babbo Natale?

E sapete quali sono state le conseguenze di questo confronto? Nessuna! Non sono mai rimasta traumatizzata perché sentivo che mi mancasse qualcosa che agli altri bambini spettava di diritto. Soprattutto perché io, a mia volta, avevo qualcosa che invece mancava a loro: nella mia casa brillava una Chanucchia. Quella era la mia festa. La solennità con cui venivano accesi i lumi, le parole che venivano pronunciate attorno ad essi, i canti di tutti noi insieme davanti alle luci delle candeline, producevano una meraviglia che era tutta mia e della mia famiglia e non era certamente minore di quella dei miei compagni.

Certo potevo dire di essere, in qualche modo, diversa da loro che facevano il presepio, ma capivo bene che il mio “essere diversa” non significava né essere migliore, né peggiore. Chanuccà faceva parte di me e della mia natura, in un mondo che è bello proprio perché pieno di persone differenti una dall’altra. Non c’è niente di male se alcune mangiano il panettone, altre le suvganiot. Anzi, se non ci si monta la testa, la diversità è un valore importante perché ci consente di scambiarci opinioni, esperienze e, visto che parliamo di festa anche ricette, che altrimenti non potremmo conoscere.

Con il tempo ho imparato che dovevo ai miei genitori la gioia di sentirmi così. Sono stata fortunata ad avere una famiglia che ha saputo darmi un’identità forte e sicura nei nostri usi e nelle nostre tradizioni nel solco della Torah e di ciò che ci è stato insegnato. A mia volta ho cercato di spiegarne l’importanza ai miei figli e oggi li vedo tramandare a mio nipote lo stesso spirito. È un bene prezioso sapere chi siamo, perché solo così possiamo guardare gli altri senza aver paura di confrontarci con loro, ma, anzi, sorreggendoci a vicenda in questo meraviglioso cammino che è la vita.

È il regalo più grande che possiamo farci e per portarlo ai nostri ragazzi non serve nemmeno vestirsi da Armadillo.


Hag chanuccà sameach!


Susanna Sciaky, Presidente Nazionale ADEI WIZO

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