Una ferita che non può rimarginarsi
- nelly618
- 30 set
- Tempo di lettura: 3 min
Dal Desk della Presidente

Care Amiche,
questo Yom Kippur, con la sua sacralità e con l’intensa connessione che ne scaturisce per tutto il Popolo Ebraico, porta con sé anche un’amara riflessione sul giorno che commemoreremo a breve e che non avremmo mai voluto segnare nei nostri calendari. Sono passati due anni dal 7 ottobre e la ferita che si è aperta allora ancora è lì, dolorosamente sanguinante nei nostri cuori e nei nostri pensieri. Quel giorno fatto di buio e orrore ha cambiato per sempre la vita di Israele, del Popolo Ebraico e di ciascuno di noi.
Ciò che è peggio, è che il 7 ottobre ci appare come un giorno infinito di una vita sospesa. Chi ha ideato l’attacco ha aggiunto scientemente una pena alla sua violenza, quella di negarci il diritto al lutto per le 1.200 persone uccise e violate quel giorno. Sequestrandone altre 250 e rendendoci partecipi delle atrocità a cui erano sottoposte, ha centellinato, insieme alla loro liberazione anche la nostra angoscia, prolungandone il dolore ed impedendoci di poter guardare oltre ad esso. Uno stillicidio di speranze e desolazione che persevera ancora oggi, anche se forse si cominciano a intravedere segnali di speranza.
Questa è stata una scelta compiuta per puro odio a discapito anche della profondità con cui nell’ebraismo si elabora il lutto. La nostra tradizione ci raccomanda di vivere un lutto stretto di una settimana, chiusi in una crisalide di sofferenza, senza agire e lasciando che siano gli altri a prendersi cura di noi. Da questa si esce gradualmente, per un anno recitiamo il kaddish ogni mattina privandoci di gioie e momenti di allegria. Tutto questo perché il dolore implica tempo e silenzio funzionali a una trasformazione, come insegna anche la psicologia, che non per nulla ha radici nella nostra cultura. Quel tempo sospeso è un elemento necessario per acquisire la consapevolezza della perdita e trovare il modo di uscirne. Senza quel momento, il dolore non ha valore: è sordo e senza scopo.
È di questo fondamentale passaggio che ci hanno privato e continuano a privarci. Finché non saranno tutti a casa e sapremo chi piangere e chi riabbracciare, rimarremo bloccati in questo tempo sospeso, perché ciascuna di quelle persone rappresenta una parte di noi, parte di un’umanità che non possiamo ricomporre.
Non pretendiamo che il mondo rimanga sordo alla sofferenza degli altri, ma almeno ci piacerebbe che riuscisse a comprendere questo aspetto del dramma in cui ci ha gettato l’attacco del 7 ottobre. Dire “Riportateli a casa ora” è diventata un’affermazione di identità, di appartenenza, di speranza. Il dramma degli ostaggi e delle loro famiglie è così condiviso perché siamo tutti partecipi del senso di angoscia delle loro famiglie e dobbiamo mantenere viva la fiamma della speranza anche nell’ora più buia.
Il nostro compito, come Donne Ebree, è quello di trasformare quella speranza in forza, la memoria in responsabilità, la sofferenza in impegno. Ognuna di noi porta dentro di sé la resilienza di generazioni che hanno conosciuto la persecuzione, ma non si sono mai arrese. È con questo spirito che vi proponiamo un appuntamento on line per il 9 ottobre a cui mi auguro sarete tutte e tutti presenti, un incontro che mobilita alcune delle più significative “Voci da Israele” che abbiamo avuto il piacere di ospitare nella nostra rubrica nel 2024, raccogliendo ben 50 testimonianze di Italiani residenti in tutta Israele che ci hanno raccontato cosa abbia significato il 7 ottobre e di come sia cambiata l’esistenza di chi ha scelto di vivere in una nazione che da due anni è coinvolta su molteplici fronti. Un anno fa la loro resilienza ci sembrava già straordinaria e ora, nel perdurare di questa insostenibile situazione, ci sembra ancora più eccezionale. Ma, come già detto, aspettiamo con speranza che gli scenari possano cambiare nel giro di pochi giorni.
È un’iniziativa che, come il Premio Letterario, si inserisce nella nostra storia. Perché per l’ADEI WIZO conoscere, approfondire e divulgare è parte della propria tradizione, per andare oltre alla superficie delle cose. Il mondo sarebbe un posto migliore se ogni persona si ponesse gli stessi scrupoli prima di puntare il dito e condannare, forte della propria inconsapevole ignoranza.
Ma non è così e, allora, dobbiamo fare in modo che l’imminente anniversario non sia solo un ricordo della tragedia, ma anche un impegno solenne che rinnoviamo durante Kippur: il nostro incessante lavoro e la nostra responsabilità saranno diretti a restare fedeli alla vita, alla giustizia, alla speranza. Lo dobbiamo al Popolo Ebraico, lo dobbiamo a tutti noi.
Sheiachzeru Hahatufim habaita,
che tornino i rapiti a casa.
Amen
A voi e alle vostre famiglie Gmar Chatimà Tovà
Susanna Sciaky
Presidente Nazionale ADEI WIZO




