Ridefinire la resilienza – Ancora e ancora
- nelly618
- 1 lug
- Tempo di lettura: 4 min

Care Amiche, da Israele ci arriva una testimonianza dei giorni appena trascorsi sotto i bombardamenti iraniani da una popolazione già provata da oltre 20 mesi di guerra. Vogliamo condividere con voi le parole dell’imprenditrice Inbal Rahav che, con semplicità e sincerità, testimonia come la consapevolezza delle donne sia spesso alla base della resilienza di questo popolo.
Ridefinire la resilienza – Ancora e ancora
di Inbal Rahav
La nostra prova di resistenza non finisce mai.Come madre, imprenditrice e cittadina di Israele – un Paese bellissimo, ma provato – io, come tante altre donne intorno a me, mi ritrovo costantemente a ridefinire il significato della parola resilienza.
Negli anni ho ricevuto innumerevoli messaggi di ammirazione e stupore da amici in tutto il mondo, che lodano la capacità degli israeliani di resistere a tempi inimmaginabili. Ma in qualche modo, soprattutto dopo il 7 ottobre, sembra che la prova sia diventata ancora più intensa, più estrema, sempre più logorante per la nostra forza interiore.
Le ultime due settimane lo hanno dimostrato più di ogni altra cosa. Anche nei giorni di un fragile cessate il fuoco, restiamo costantemente in allerta.
Questo è il mio vissuto di questo periodo, autentico e sincero, direttamente da Israele.
In Israele, la vita scorre veloce – come sotto steroidi. I titoli del mattino non assomigliano mai a quelli della sera. Un momento di quiete può trasformarsi all’improvviso in qualcosa che sembra l’inizio della Terza guerra mondiale – senza alcun vero preavviso. L’ansia esistenziale è diventata purtroppo parte della nostra routine. E ha il potere di trasformarsi in qualcosa di mostruoso: una paura paralizzante, reale – qualcosa che le parole faticano a descrivere.
E poi è arrivato lo scontro con l’Iran – la “testa del serpente”, come ci è stato ripetuto senza sosta. La madre di ogni male in Medio Oriente. Improvvisamente tutto è esploso insieme: una rapida reazione a catena di attacchi, allarmi e risposte.
Dal punto di vista lavorativo, il mio calendario – un tempo pieno di conferenze, workshop ed eventi fino a fine luglio – si è svuotato nel giro di una notte. Da professionista impegnata sono diventata… “disoccupata”. Sul piano sociale, la vita si è semplicemente fermata. Le scuole hanno chiuso. I bambini sono tornati improvvisamente a casa – isolati, senza alcuna struttura educativa – proprio all’approssimarsi delle vacanze estive. Gli unici negozi aperti erano quelli “essenziali”: farmacie e supermercati.
La nostra routine quotidiana è svanita, sostituita da una non-routine: notti insonni piene di sirene e allarmi. Ognuna è come un piccolo infarto, segnale di missili in arrivo. Da un lato, ci fidiamo dei sistemi di difesa israeliani. Dall’altro, sappiamo fin troppo bene che non sono infallibili. Per 12 notti, ogni sera è sembrata una roulette russa. A ogni sirena, pregavo che la mia casa, i miei figli, le nostre vite, venissero risparmiate.
La sopravvivenza è diventata l’unico obiettivo: proteggere la casa, i bambini, e sentire almeno un briciolo di controllo in una situazione che ci sfugge totalmente di mano.
Come ci prepariamo?
Le basi: attrezziamo la stanza sicura della casa con tutto il necessario – materassi, coperte, cibo secco, acqua, luci d’emergenza, kit di primo soccorso, giochi da tavolo. È pensata per soggiorni prolungati.
Livello avanzato: prepariamo una “borsa di fuga” con un cambio d’abiti e scarpe da ginnastica per ogni membro della famiglia – perché, se un missile colpisse la casa e dovessimo camminare tra le macerie, non possiamo farlo a piedi nudi. Includiamo anche passaporti, documenti essenziali e una copia di backup del computer di famiglia.
Come affrontiamo tutto questo?
Ospitiamo gli amici dei nostri figli – per creare uno spazio sociale divertente per loro, un tentativo di proteggerli dall’ansia in cui noi adulti stiamo annegando.
Riduciamo l’esposizione alle notizie – perché alimenta solo il panico.
Ripeschiamo i ricordi muscolari dei lockdown da COVID – tirando fuori la piscina gonfiabile, facendo ginnastica in casa, rispolverando vecchi giochi in scatola.
Ruotiamo intorno alla cucina – cucinando, infornando, cercando di sentirci produttivi. (A volte rido pensando a come i miei successi accademici e professionali si siano ridotti a… cucinare schnitzel!)
Parliamo con gli amici. Tra di noi. Condividiamo le paure che tutti portiamo dentro – perché parlarne, sfogarsi, aiuta.
Beviamo vino – anche al pomeriggio. Perché non c’è più una routine, e questo porta un conforto momentaneo.
E ci nutriamo dell’umorismo online – perché in qualche modo, il nostro superpotere come popolo è la capacità di ridere tra le lacrime, anche nelle situazioni più assurde e strazianti.
E nel frattempo? Cerchiamo di respirare – tra quel poco lavoro che resta e la vita in casa. Cerchiamo di non perdere la pazienza. O la speranza. Cerchiamo di credere in un futuro migliore per noi e per i nostri figli, qui. E a volte cadiamo nell’ansia – perché le emozioni oscillano selvaggiamente, quattro o cinque volte al giorno.
Cerchiamo di rimanere sani di mente, nonostante quasi due settimane di notti insonni. Cerchiamo di credere nel nostro esercito. Nella sua forza. Di credere che la nostra economia si riprenderà, ancora una volta. Che vedremo crescita. Rinnovamento. Speriamo che, un giorno, il mondo capisca davvero l’impossibile realtà in cui viviamo e magari, solo magari, scelga di sostenerci.
E così, continuo a ridefinire ogni singolo giorno il significato di resilienza. E prego per il giorno in cui le nostre vite torneranno davvero a essere normali. In cui non saremo più messi alla prova nei nostri limiti mentali ed emotivi. In cui non saremo più chiamati a scegliere, ogni giorno, tra la vita e la morte.
Amen.
Inbal Rahav

Imprenditrice israeliana, madre di due figli, è CEO della Camera di Commercio Israele-Austria, consulente aziendale che aiuta le startup a crescere a livello globale. È stata relatrice alla recente conferenza ECWF di Helsinki.