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Tre domande a…Denise Pardo

Aggiornamento: 6 giorni fa


A poche settimane della Premiazione di Torino del XXIV Premio Letterario ADEI WIZO Adelina Della Pergola conosciamo un po’ meglio gli autori finalisti che saranno i protagonisti di questo straordinario evento. Abbiamo rivolto a ciascuno di loro tre domande, due simili e la terza incentrata sull’opera che è stata scelta per partecipare al Premio.

 Cominciamo questa galleria con Denise Pardo, giornalista e scrittrice, vincitrice della Sezione adulti e con una biografia interessante. È nata al Cairo, ma la sua famiglia ha dovuto trasferirsi presto a Roma ed è qui che ha intrapreso una carriera giornalistica di successo arrivando a scrivere principalmente per l’Espresso e a pubblicare numerosi libri incentrati sulle sue inchieste. Il libro con cui ha vinto il Premio “La Casa sul Nilo” è profondamente ispirato alle vicende della sua infanzia.


Un libro può davvero cambiare il mondo? E in che modo?  

La cultura e i libri hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella circolazione e nella diffusione delle idee e di quei principi capaci di portare a importanti rivoluzioni. Molti libri nella nostra storia hanno davvero cambiato il mondo e credo che possano ancora farlo, nonostante la società contemporanea sia talmente sovraffollata da ogni sorta di messaggi da rendere sempre più difficile far emergere un pensiero forte e costruttivo. Se i libri perderanno davvero questa loro capacità magica, vorrà dire che il mondo è cambiato e ce ne dovremo rattristare tutti.


Quando scrive ha in mente una precisa tipologia di lettore e quale?

Per “La casa sul Nilo” non ho mai pensato a una precisa tipologia di lettori e mi sono concentrata sui protagonisti della mia storia. Dalle lettere, mail, commenti che mi sono arrivati, noto che è stata amata da un pubblico eterogeno. Ma non credo di poterne tracciare un identikit, ero convinta che le donne sarebbero state più attratte, ma non è stato così. Quello che mi ha fatto molto piacere è che i lettori mi dicano spesso di essersi ritrovati nei pensieri, nelle paure, nei tormenti e nei dubbi dei protagonisti pur avendo una vita diversa da quella narrata nella storia. Hanno ribadito come sia un libro dove tutti possono ritrovare qualcosa di loro stessi.


Nella Casa sul Nilo descrive un mondo dove la convivenza tra culture diverse è stata interrotta bruscamente da accadimenti politici. Senza entrare in questioni politiche di attualità, pensa che un giorno quell’epoca possa ritornare e che direzione dovrebbero intraprendere gli uomini per arrivarci? 

Prima ancora di cominciare a scrivere il libro, l'obiettivo era raccontare che c'era stato un luogo e un tempo in cui la convivenza tra le culture diverse era perfettamente riuscita. Volevo questo e, solo in seguito, è diventato un romanzo, o meglio, la biografia romanzata della mia famiglia. Oggi quella società aperta e generosa che descrivo sembra una favola, un racconto utopico. Eppure è esistita, ma è qualcosa che certo non si può ricreare a tavolino. Piuttosto rimango fermamente convinta che sia fondamentale non smettere mai di raccontare il mondo in cui quella convivenza è stata possibile. Per non perderne il ricordo, la memoria e soprattutto la speranza.

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